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Trento, 14 luglio 2009
Le Dolomiti nell’Unesco: una sfida da vincere
Evitare il rischio di una operazione di pura facciata
di Roberto Bombarda
dal Trentino di martedì 14 luglio 2009

Il riconoscimento Unesco delle Dolomiti “patrimonio dell’umanità” è certamente un atto storico
nelle vicende dei nostri gruppi montuosi più prestigiosi ed un traguardo politico di grande rilevanza.
220 anni fa Deodat de Dolomieu non avrebbe mai immaginato che la pietra da lui analizzata
sarebbe assurta a così alto riconoscimento.

Quando vent’anni fa a Biella, al congresso fondativo di Mountain Wlderness al quale ero anch’io presente, alcuni sognatori proposero questo riconoscimento, a tutti parve un’ottima idea, da perseguire con ostinazione. Nello stesso periodo, una grande mostra sulle Dolomiti trentine e la nascita dei parchi naturali per la tutela del Brenta e delle Pale di San Martino (su proposta dell’indimenticabile Walter Micheli) tenevano alta la tensione culturale e politica verso questo obiettivo. Quanto è accaduto nei vent’anni successivi non è stato sempre all’altezza dei sogni e dei progetti. I parchi trentini si sono dimostrati sicuramente una scommessa vincente, anche se alcuni scivoloni come il collegamento Pinzolo-Campiglio attraverso Plaza potevano essere evitati. Ora il riconoscimento dell’Unesco impone alcune riflessioni, affinché un risultato eccellente, frutto di una importante collaborazione tra cinque province, non scada in semplice operazione di facciata ma venga piuttosto riempito di contenuti.

La prima: il riconoscimento dell’Unesco, di per se’, poco aggiunge alla magìa ed alla forza di attrazione delle Dolomiti. Vi sono numerosi luoghi già “patrimonio dell’Umanità” da anni che in base a questo riconoscimento non hanno avuto alcun miglioramento visibile o. In altre parole, non basta il “timbro”, occorre riempirlo di proposte e di contenuti. Ed alla tutela delle rocce va affiancata anche la tutela dei fondovalle, con il coinvolgimento delle comunità che vi abitano, anche al fine di ottenere il riconoscimento di patrimonio culturale oltreché naturale.

La seconda: sono convinto che tutti i gruppi montuosi siano un “patrimonio dell’umanità”, per il ruolo insostituibile che le montagne svolgono sulle dinamiche del pianeta, a livello fisico ed antropico. Per restare al Trentino, come geografo ho sempre considerato i gruppi dell’Adamello-Presanella, del Cevedale, dei Lagorai più ricchi ed interessanti di quelli dolomitici, in quanto la roccia più impermeabile e la quota più elevata consentono una maggiore presenza di acqua - con ghiacciai, laghi, cascate e forre - e conseguentemente di vita vegetale ed animale rispetto alle Dolomiti. Poi, per carità, i gruppi dolomitici all’alba ed al tramonto sono un’altra cosa. andrebbero però tutelati e riconosciuti dall’Unesco tutti i vari sottogruppi, non solo quelli già classificati come parchi o siti di importanza comunitaria. Ma i luoghi riconosciuti debbono avere almeno una “marcia in più”, in termini di ricerca della sostenibilità e di buone pratiche di sviluppo. E qui vorrei spezzare una lancia a favore di coloro che invocano, a mio avviso con assoluta legittimità e forza argomentativa, l’autonomia speciale di tutti i territori dolomitici, oltre a Trento e Bolzano.

La terza: Mauro Corona, ma con altri termini anche Gigi Casanova, ricordano l’oggettiva diversità di condizioni economiche e di sviluppo all’interno della stessa area dolomitica: da una parte nevica “firmato”, dall’altra le montagne vengono abbandonate per difficoltà di sviluppo. Orbene, se un progetto comune alle Dolomiti va ora portato avanti dalla Fondazione, credo che al primo posto debba essere messa proprio una risposta a queste oneste perplessità. Forse serve che da un lato di rallenti e dall’altro si acceleri, ma non c’è dubbio che non possono più esistere le Dolomiti di serie A e quelle di serie B (o C e D.). Ed il lavoro per i giovani, si tratti di lavori tradizionali o di professioni legate alle tecnologie, che con la fibra ottica ed internet possono essere portate in maniera soft anche nella vallate dolomitiche, è certamente una priorità per far vivere le valli.

 La quarta: vi sono almeno, tra i tanti, tre temi sui quali, tra vent’anni, potremo misurare il successo/insuccesso del riconoscimento Unesco. La conservazione della biodiversità, la mobilità e l’energia. Se non sapremo conservare la biodiversità, con una comune ed autorevole politica di tutela delle nostre montagne, con la tutela dei corsi d’acqua, non saremo degni di conservarle le Dolomiti “per l’umanità”. Occorre dunque che i parchi facciano il loro dovere e che nei gruppi dolomitici che oggi non sono ancora dotati di questo strumento di gestione si istituiscano nuovi parchi. Il riferimento, per il Trentino, è alla Marmolada ed al Latemar.

 Per quanto riguarda la mobilità, la “pressione” dell’Unesco potrebbe essere messa a frutto per portare finalmente a soluzione il grande problema dei collegamenti città-valli e intervallivi, inclusi i transiti sui passi, scegliendo la modalità più sostenibile che nel lungo periodo, quantomeno per i collegamenti con il “centro”, è quella ferroviaria. Il riconoscimento dell’Unesco ci offre anche l’opportunità per rivedere il collegamento tra San Martino ed il Passo Rolle, salvando dallo sfregio dei piloni e delle funi il Colbricon, l’area archeologica più importante delle Dolomiti trentine. L’energia è il grande tema del futuro: le Dolomiti potrebbero sperimentare prima che altrove l’obiettivo dell’autosufficienza energetica, valorizzando le risorse locali ed eliminando progressivamente i combustibili fossili, creando così una grande area “fossil free” e puntando al bilancio “zero CO2”, al fine di fornire un contributo oggettivo e non ideologico alla lotta contro i cambiamenti climatici che altrimenti rischiano di modificare irrimediabilmente il patrimonio dolomitico. E’ infatti di questi giorni un allarmato articolo sulla rivista del Touring club italiano che preannuncia l’estinzione del secondo grande ghiacciaio dolomitico dopo quello della Marmolada, vale a dire il ghiacciaio della Fradusta.

Opportunità e rischi: è dunque questo che ci offre il riconoscimento dell’Unesco. Una occasione irripetibile.

Romberto Bombarda

     

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